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domenica 17 ottobre 2010
pieces parte nona
giovedì 16 settembre 2010
pieces parte ottava
buona lettura a tutti..!
P.S. in seguito aggiungerò la colonna sonora e l'immagine ma per ora la connessione non me lo permette...
Pink Floyd- See Emily Play
mercoledì 25 agosto 2010
pieces parte settima
Colonna sonora: Winterreise by Coldworld
mercoledì 18 agosto 2010
pieces parte sesta
martedì 10 agosto 2010
pieces parte quinta
la colonna sonora non è completamente, anzi forse non lo è per nulla, finalizzata al rendere l'atmosfera completa quanto più a dare l'idea di quanto mi è di ispirazione e di ciò che permette al brano di risultare ciò che leggete... è la canzone che ho ascoltato durante la stesura del pezzo e trovo che vi si addica per certi versi. lascio a voi la scelta sull'ascolto.
Buona lettura e buona nottata...
Colonna sonora: Don't say a word- Sonata Arctica
sabato 7 agosto 2010
pieces parte quarta
sabato 24 luglio 2010
pieces parte terza
venerdì 2 luglio 2010
pieces parte seconda
giovedì 24 giugno 2010
pieces
martedì 1 giugno 2010
Terza parte e finale...
http://www.youtube.com/watch?v=sQghSEl0hHQ
Prese la chiave dalle tasche dei jeans fradici e fece scattare la serratura poi, dopo aver lasciato gli abiti sul pavimento all’entrata, andò in cucina e mise in microonde un trancio di pizza e andò a infilarsi qualcosa di asciutto.
Mentre tirava su la lampo dei pantaloni ebbe l’illuminazione che tanto aspettava, sapeva finalmente cos’avrebbe dovuto fare per liberarsi del suo capo.
Con questa nuova consapevolezza si diresse ancora mezzo nudo verso la cucina e si mangiò la sua pizza poi, messa su un po’ di musica si dedicò ai preparativi del suo piano; si stupì d’avere in casa tutto l’occorrente e dopo aver riempito lo zaino e deciso che si sarebbe presentato in ufficio in anticipo a costo di saltare le lezioni si lasciò cadere sul materasso sfinito e si addormentò all’istante.
La sveglia non aveva suonato e mentre nell’appartamento regnava una calma quasi inquietante, la città era già sveglia da un pezzo ed era immersa nel solito caos del martedì mattina, anche a quella distanza nell’appartamento filtrava il vociare, anche se debole, provenente dal mercato; Mattia fu svegliato dai raggi che attraverso le persiane semichiuse filtravano nella camera da letto.
Si preannunciava una giornata particolarmente calda e soleggiata, specie a confronto con le precedenti; Mattia aprì gli occhi e si diresse in cucina per prepararsi una tazza di caffè prima di uscire. I jeans erano completamente spiegazzati ma non poteva importargliene di meno, mentre aspettava che il caffè salisse, tornò in camera e finì di vestirsi, si passò le mani nei capelli aggrovigliati rinunciando quasi immediatamente a sistemarli e tornò in cucina.
Mezz’ora dopo si stava chiudendo la porta alle spalle, gli sembrava d’essere tornato al liceo: zaino impassibilmente pesante in spalla e schiena faticosamente tenuta diritta, salvo che in quel momento lo zaino conteneva tutto fuorché libri.
Nonostante il peso della sacca sulle spalle si diresse a passo sostenuto verso l’ufficio; non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro in quel momento però avrebbe preferito riuscire a trovare un altro modo per risolvere la situazione, purtroppo non lo aveva trovato.
Arrivato in ufficiò si accertò che non vi fosse nessuno al suo interno fatta eccezione per l’Avvoltoio e per lui stesso, chiuse la pesante porta in legno e bloccò quelle in vetro dopo di che si affrettò a raggiungere il suo capo nello studio.
Lo trovò che gli dava le spalle, tipico di quell’aguzzino non prestare attenzione ad un semplice tuttofare pensò, questo gli fornì l’occasione per sorprenderlo alle spalle, l’altro non ebbe il tempo di reagire, Mattia gli calò i pugni uniti sulla testa e gli fece perdere i sensi. Lo legò quindi e lo spinse in un angolo, uscì quindi dallo studio per recuperare lo zaino e fece ritorno poco dopo con una montagna di sacchi di plastica tagliati in modo da poter essere stesi con facilità. Ricoprì ogni centimetro della stanza con il nylon, poi si sedette per terra accanto al datore di lavoro in attesa del suo risveglio; dovette aspettare parecchio, segno che evidentemente ci era andato giù un po’ troppo pesante, poco importava aveva tempo. Quando l’Avvoltoio si svegliò Mattia era quasi stufo di aspettare, non si accorse immediatamente del risveglio dell’altro ma quando lo fece era pronto a porre fine alla sua missione; sarebbe stata una cosa veloce, dopotutto non voleva torturarlo, solo liberare il mondo da una fetta di male.
I capelli sciolti gli ricaddero in avanti quando si chinò sul corpo del capo per metterlo a sedere, mentre attendeva che riprendesse conoscenza aveva terminato di preparare l’occorrente per l’operazione, adesso stringeva nella mano sinistra un coltello da macellaio e nella destra uno straccio. Prima che l’Avvoltoio potesse capire e urlare, Mattia lo imbavagliò, poi accostò il coltello alla gola dell’altro e con un taglio secco e deciso recise quasi completamente la testa.
La scena gli provocò violenti conati di vomito e per poco non rovesciò l’intero contenuto del suo stomaco sul pavimento, decise allora di sdraiarsi sul pavimento con la fronte appoggiata contro il nailon fresco e di immergersi per un po’ in una delle sue realtà parallele. Quando finalmente riemerse dal sogno ad occhi aperti, anche la più piccola scintilla di vita aveva abbandonato il corpo di Antonio Maineri, colui che fino a poco prima era stato la fonte dei suoi peggiori incubi; il corpo del fu Avvoltoio giaceva quasi completamente dissanguato sul nylon che si stava tingendo sempre più di rosso.
Mattia si costrinse ad alzarsi e a finire il lavoro, dopo potrò finalmente vivere libero, si disse, non riuscì però a convincersi completamente; prese la borsa da palestra dallo zaino e ne rivestì l’interno di nylon poi si diresse verso il cadavere, di nuovo quasi vi vomitò sopra ma ancora una volta riuscì a reprimere i conati e si obbligo a chinarsi accanto al corpo e a dividerlo in pezzi in modo da farlo stare nella sacca sportiva.
Un’ora e parecchi conati dopo il corpo del suo, ormai, ex capo era stato completamente riposto dentro la sacca e la sala era stata ripulita, non vi era neppure una macchia, neppure un capello sul pavimento; Mattia si era anche cambiato scarpe e vestiti non volendo allarmare nessuno con il sangue, aveva messo tutti gli attrezzi e i vestiti sporchi nello zaino e aveva lasciato l’ufficio diretto verso casa.
Lungo il tragitto era stato preso dall’angoscia, aveva fatto l’errore di pensare ai famigliari di Maineri, per fortuna aveva subito ricordato che l’Avvoltoio non aveva famiglia né tantomeno amici a cui poter mancare, questo l’aveva rassicurato almeno un poco.
Una volta nell’appartamento aveva lasciato le sacche all’ingresso e si era fiondato nella doccia; come sempre questa aveva avuto un effetto rilassante, anche se quando l’acqua aveva smesso di scorrere l’inquietudine era tornata, aveva provato ad accendere la musica, a bere un the e a fare tutto ciò che normalmente lo calmava ma niente era servito, niente.
Aveva quindi pensato che forse aveva solo bisogno di non vedere più le sacche nel suo appartamento; si era allora precipitato a prenderle ed era corso verso l’auto, aveva riposto il fardello nel portabagagli ed era partito alla volta di un posto tranquillo in campagna. Avrebbe bruciato tutto, l’accendino ce l’aveva e anche dei giornali per appiccare il fuoco, solo non sapeva dove andare. Dopo parecchio che vagabondava senza meta addentrandosi sempre più nella campagna trovò un boschetto perfetto per ciò che doveva fare, prese le borse e vi si addentrò; quando gli sembrò d’esse abbastanza al riparo poggiò le sacche a terra e vi diede fuoco con l’aiuto dei giornali. Nonostante la difficoltà a prendere fuoco quando si accesero arsero senza problemi e piuttosto in fretta, fortunatamente il suolo era umido e l’erba non prese fuoco limitando il falò alle sacche.
Quando non rimase che cenere Mattia voltò le spalle alle spoglie e se ne andò da dove era venuto, adesso che tutto era finito si sentiva meglio, non in pace ma meglio, una fetta di male aveva abbandonato il mondo e già solo per questo doveva sentirsi sollevato.
Forse il tempo avrebbe sistemato tutto, forse… non avrebbe dovuto far altro che aspettare e sperare.
giovedì 11 marzo 2010
L’appartamento era immerso nel caos come sempre: c’erano vestiti sparsi ovunque, pile di libri e cd ammucchiate sulle sedie e le scatole della pizza da asporto iniziavano a essere più alte del tavolino del salotto; doveva decidersi a dare una bella ripulita ma era affezionato a tutto quel caos, era la sua forma di ordine.
Si diresse verso lo stereo e mise su un cd raccolto dal pavimento, non aveva la più pallida idea di che canzone fosse quella che prese a diffondersi dalle casse ma non gli importava nemmeno, in quel momento voleva solo farsi una doccia e stramazzare sul letto perennemente sfatto.
Si diresse verso il bagno e girò la manopola dell’acqua calda, si spoglio e si fiondò sotto l’acqua; rivoli caldi scendevano dai capelli giù sulle spalle, sul petto e poi fino ai piedi; aveva sempre trovato conforto in una bella doccia bollente dopo una giornataccia, lo rilassava all’inverosimile.
Si prese tutto il tempo di insaponare i capelli due volte e di crogiolarsi sotto l’acqua calda senza motivo; un ora e mezza dopo si avvolse un asciugamano in vita e uno sui capelli e si avviò, sgocciolando per tutto l’appartamento, verso la camera da letto. La musica continuava a suonare ma ormai quasi non la sentiva più perso nei suoi pensieri, catapultato in un qualche mondo nato dalla sua fantasia dove la vita faceva meno schifo e gli avvocati non esistevano.
Un quarto d’ora dopo stava dormendo ancora avvolto negli asciugamani ed ancora stava viaggiando nel mondo felice da lui inventato.
Pochi istanti dopo, o per lo meno quelli che gli erano parsi pochi istanti, ma che in realtà erano state ore, la sveglia suonò strappandolo da quella stupenda realtà parallela e ingannevole; un altro giorno stava per iniziare.
Si alzò, fece colazione e si vestì, afferrato il portafoglio praticamente vuoto si diresse verso l’università.
Uscito in strada la prima cosa che notò fu come il cielo non si fosse minimamente schiarito e continuasse a preannunciare tempesta, bene, penso, sarà un’altra giornata tranquilla, si diresse quindi con il sorriso sulle labbra verso l’imponente palazzo che ospitava la facoltà di giurisprudenza.
Cinque ore dopo seduto al Corso, il bar più famoso della città, stava ripensando a quello che aveva letto scritto sul muro di un palazzo a volte la pietà è più utile della mera giustizia, non era ancora riuscito a stabilire con chiarezza cosa ne pensasse; da un lato era d’accordo ma dall’altro…
Mentre stava rimuginando alzò lo sguardo sull’orologio: le 14.30 avrebbe dovuto essere in ufficio di lì a dieci minuti; si avviò verso la cassa, pagò e si avviò verso la noia più totale.
Il cielo continuava a promettere di riversare la sua furia a terra da un momento all’altro e Mattia continuava a sperare che il temporale cominciasse prima che lui entrasse nello studio dell’Avvoltoio.
Appena oltrepassò le lucide porte a vetri dell’ufficio, Mattia, che nel frattempo aveva ricordato di legare i capelli, poté udire la voce ebbra di pianto di una donna supplicare l’Avvoltoio di aiutarla nonostante le ristrettezze economiche e la fredda e distaccata risposta di questi; come prevedibile la donna uscì poco dopo, sconvolta e in lacrime, l’Avvoltoio le richiuse seccamente la porta alle spalle.
Mattia era stufo di vedere ogni giorno scene come quella, ormai però aveva imparato a consolare i poveretti maltratti dal capo, si rivolse quindi con gentilezza alla donna e le offrì da bere al bar del piano di sotto, dopo averla fatta sfogare l’accompagnò all’uscita e tornò al suo lavoro.
Di sopra l’Avvoltoio stava già contrattando il prezzo dei suoi servizi con un’avvenente giovane donna, insensibile alla disperazione della cliente rifiutata di poco prima; Mattia prese a smistare la posta tornando alle sue riflessioni sulla frase del muro. Il resto del pomeriggio passò in fretta tra un filo di pensieri e l’altro; dopo l’ennesimo cliente rifiutato e disperato Mattia aveva deciso che avrebbe dovuto fare qualcosa per cambiare le cose, non ne poteva più di vedere la disperazione sui volti della gente.
Uscito dall’ufficio sciolse i capelli e prese a camminare in mezzo alla strada, sotto la pioggia che aveva iniziato a scosciare senza sosta, ad un certo punto del percorso verso casa aveva deciso di cambiare direzione e si era messo a correre sotto la pioggia per liberare la mente da ogni pensiero.
Le strade erano completamente deserte, tutte sue, era libero di correre dove voleva senza doversi preoccupare delle macchine, in un momento imprecisato aveva iniziato a grandinare e la sua corsa liberatoria aveva dovuto arrestarsi, era così tornato verso il suo appartamento. Era fradicio, gocciolava acqua ovunque, non aveva idea di che ora fosse, entrato nell’ingresso del palazzo si era accorto che degli appartamenti circostanti non proveniva nessun suono e che in portineria non c’era nessuno, segno che era indubbiamente molto più tardi di quello che aveva immaginato.
Dato che in giro non c’era nessuno prima di aprire la porta dell’appartamento ed entrare si spogliò rimanendo in boxer e mettendo in mostra, al nulla, il fisico snello ma muscoloso, incurante del fatto che chiunque sarebbe potuto uscire in qualunque momento da uno degli appartamenti circostanti.