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giovedì 24 giugno 2010

pieces

be' il titolo è per ora molto provvisorio e la stesura sarà probabilmente lenta e andrà rivista comunque questo è il primo pezzo del mio nuovo racconto ed è per ora sotto forma di bozza quindi è probabile che vi apporti correzioni...
spero vi piaccia anche se è ancora da rivedere....

La casa era isolata e, posta sul cucuzzolo di una collina, offriva una vista spettacolare: il balcone a strapiombo sul mare permetteva di godersi splendidi tramonti e notti che si riflettevano sulle onde, al di sotto un piccolo giardino ghiaioso era circondato da un centinaio di olivi carichi di frutti non ancora maturi. A est invece incastonata tra la casa e la collina vi era una piccola ma quanto mai invitante piscina, poco distante dall’ingresso della casa e dalle brevi e ripide scale in pietra che conducevano alla strada.
La villetta, nonostante le dimensioni ristrette, era molto ben organizzata e gli arredi rustici risultavano molto eleganti e ben si accordavano con l’esterno.
Ci ero già stata altre volte da bambina con i miei genitori ma non ero mai riuscita a cogliere il lato artistico e poetico del paesaggio, l’isolamento, la solitudine della dimora mi avevano sempre inquietata, in quel momento invece quelle sensazioni erano sparite. Forse era perché ero cresciuta, forse perché ero in compagnia delle mie migliori amiche e ci aspettava una vacanza all’insegna del relax e del divertimento, il passato era passato.
Scaricati i bagagli ci infilammo i bikini e ci buttammo direttamente in piscina: l’acqua era un po’ troppo fredda per i miei gusti, ma non me ne importava poi più di tanto in quel momento volevo solo il divertimento. A tutte e tre serviva cambiare aria per un po’, la città stava diventando insopportabilmente opprimente: l’università mi stava stufando e il lavoro, be’ fare la cameriera non era mai stata la mia vocazione; per quanto riguardava Pam e Stefy, la prima aveva bisogno di riprendersi dalla rottura con il fidanzato e la seconda aveva bisogno di prendersi una vacanza dalla famiglia che non accettava la sua vena artistica.  L’arte di Stefy andava capita, non sempre era facile, alle volte poteva risultare fastidiosa, ma i risultati erano spettacolari; una volta quando ancora facevamo il liceo aveva praticamente costretto me e Pam a posare per lei mezze nude in atteggiamenti piuttosto intimi. Ci eravamo divertite un mondo, avevamo riso come sceme tutto il pomeriggio, peccato che i genitori di Stefy fossero tornati mentre lei dipingeva noi altre intrecciate sul divano che fingevamo di baciarci e ci avessero praticamente vietato di vederci. Inutile dire che erano state parole sprecate, avevamo cambiato punto di ritrovo e la nostra amicizia era andava avanti, comunque il quadro era venuto un capolavoro e ancora è appeso in camera mia. Quello fu solo uno dei tanti episodi che misero distanza fra Stefy e la sua famiglia.
La vacanza era un modo per fuggire da tutto questo.
 Quel pomeriggio lo trascorremmo tra disfare i bagagli, sistemarci e la piscina; prima del tramonto preparammo la cena e apparecchiammo il tavolo sul terrazzo così da poterci godere il tramonto e la cena nello stesso momento. Il sole riluceva sempre più rosato sul mare e sui promontori, sfumando verso il viola a mano a mano che tramontava; in poco tempo ci ritrovammo ad ammirare uno spettacolo ben diverso, non era più il sole a specchiarsi nell’acqua bensì una piccola falce di luna circondata da miriadi di stelle luminose e argentate. Una leggera brezza spirava dal mare e faceva frusciare le foglie degli ulivi, portando con sé il rumore delle onde e il loro profumo salmastro.

martedì 1 giugno 2010

Terza parte e finale...

http://www.youtube.com/watch?v=sQghSEl0hHQ


Prese la chiave dalle tasche dei jeans fradici e fece scattare la serratura poi, dopo aver lasciato gli abiti sul pavimento all’entrata, andò in cucina e mise in microonde un trancio di pizza e andò a infilarsi qualcosa di asciutto.

Mentre tirava su la lampo dei pantaloni ebbe l’illuminazione che tanto aspettava, sapeva finalmente cos’avrebbe dovuto fare per liberarsi del suo capo.

Con questa nuova consapevolezza si diresse ancora mezzo nudo verso la cucina e si mangiò la sua pizza poi, messa su un po’ di musica si dedicò ai preparativi del suo piano; si stupì d’avere in casa tutto l’occorrente e dopo aver riempito lo zaino e deciso che si sarebbe presentato in ufficio in anticipo a costo di saltare le lezioni si lasciò cadere sul materasso sfinito e si addormentò all’istante.

La sveglia non aveva suonato e mentre nell’appartamento regnava una calma quasi inquietante, la città era già sveglia da un pezzo ed era immersa nel solito caos del martedì mattina, anche a quella distanza nell’appartamento filtrava il vociare, anche se debole, provenente dal mercato; Mattia fu svegliato dai raggi che attraverso le persiane semichiuse filtravano nella camera da letto.

Si preannunciava una giornata particolarmente calda e soleggiata, specie a confronto con le precedenti; Mattia aprì gli occhi e si diresse in cucina per prepararsi una tazza di caffè prima di uscire. I jeans erano completamente spiegazzati ma non poteva importargliene di meno, mentre aspettava che il caffè salisse, tornò in camera e finì di vestirsi, si passò le mani nei capelli aggrovigliati rinunciando quasi immediatamente a sistemarli e tornò in cucina.

Mezz’ora dopo si stava chiudendo la porta alle spalle, gli sembrava d’essere tornato al liceo: zaino impassibilmente pesante in spalla e schiena faticosamente tenuta diritta, salvo che in quel momento lo zaino conteneva tutto fuorché libri.

Nonostante il peso della sacca sulle spalle si diresse a passo sostenuto verso l’ufficio; non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro in quel momento però avrebbe preferito riuscire a trovare un altro modo per risolvere la situazione, purtroppo non lo aveva trovato.

Arrivato in ufficiò si accertò che non vi fosse nessuno al suo interno fatta eccezione per l’Avvoltoio e per lui stesso, chiuse la pesante porta in legno e bloccò quelle in vetro dopo di che si affrettò a raggiungere il suo capo nello studio.

Lo trovò che gli dava le spalle, tipico di quell’aguzzino non prestare attenzione ad un semplice tuttofare pensò, questo gli fornì l’occasione per sorprenderlo alle spalle, l’altro non ebbe il tempo di reagire, Mattia gli calò i pugni uniti sulla testa e gli fece perdere i sensi. Lo legò quindi e lo spinse in un angolo, uscì quindi dallo studio per recuperare lo zaino e fece ritorno poco dopo con una montagna di sacchi di plastica tagliati in modo da poter essere stesi con facilità. Ricoprì ogni centimetro della stanza con il nylon, poi si sedette per terra accanto al datore di lavoro in attesa del suo risveglio; dovette aspettare parecchio, segno che evidentemente ci era andato giù un po’ troppo pesante, poco importava aveva tempo. Quando l’Avvoltoio si svegliò Mattia era quasi stufo di aspettare, non si accorse immediatamente del risveglio dell’altro ma quando lo fece era pronto a porre fine alla sua missione; sarebbe stata una cosa veloce, dopotutto non voleva torturarlo, solo liberare il mondo da una fetta di male.

I capelli sciolti gli ricaddero in avanti quando si chinò sul corpo del capo per metterlo a sedere, mentre attendeva che riprendesse conoscenza aveva terminato di preparare l’occorrente per l’operazione, adesso stringeva nella mano sinistra un coltello da macellaio e nella destra uno straccio. Prima che l’Avvoltoio potesse capire e urlare, Mattia lo imbavagliò, poi accostò il coltello alla gola dell’altro e con un taglio secco e deciso recise quasi completamente la testa.

La scena gli provocò violenti conati di vomito e per poco non rovesciò l’intero contenuto del suo stomaco sul pavimento, decise allora di sdraiarsi sul pavimento con la fronte appoggiata contro il nailon fresco e di immergersi per un po’ in una delle sue realtà parallele. Quando finalmente riemerse dal sogno ad occhi aperti, anche la più piccola scintilla di vita aveva abbandonato il corpo di Antonio Maineri, colui che fino a poco prima era stato la fonte dei suoi peggiori incubi; il corpo del fu Avvoltoio giaceva quasi completamente dissanguato sul nylon che si stava tingendo sempre più di rosso.

Mattia si costrinse ad alzarsi e a finire il lavoro, dopo potrò finalmente vivere libero, si disse, non riuscì però a convincersi completamente; prese la borsa da palestra dallo zaino e ne rivestì l’interno di nylon poi si diresse verso il cadavere, di nuovo quasi vi vomitò sopra ma ancora una volta riuscì a reprimere i conati e si obbligo a chinarsi accanto al corpo e a dividerlo in pezzi in modo da farlo stare nella sacca sportiva.

Un’ora e parecchi conati dopo il corpo del suo, ormai, ex capo era stato completamente riposto dentro la sacca e la sala era stata ripulita, non vi era neppure una macchia, neppure un capello sul pavimento; Mattia si era anche cambiato scarpe e vestiti non volendo allarmare nessuno con il sangue, aveva messo tutti gli attrezzi e i vestiti sporchi nello zaino e aveva lasciato l’ufficio diretto verso casa.

Lungo il tragitto era stato preso dall’angoscia, aveva fatto l’errore di pensare ai famigliari di Maineri, per fortuna aveva subito ricordato che l’Avvoltoio non aveva famiglia né tantomeno amici a cui poter mancare, questo l’aveva rassicurato almeno un poco.

Una volta nell’appartamento aveva lasciato le sacche all’ingresso e si era fiondato nella doccia; come sempre questa aveva avuto un effetto rilassante, anche se quando l’acqua aveva smesso di scorrere l’inquietudine era tornata, aveva provato ad accendere la musica, a bere un the e a fare tutto ciò che normalmente lo calmava ma niente era servito, niente.

Aveva quindi pensato che forse aveva solo bisogno di non vedere più le sacche nel suo appartamento; si era allora precipitato a prenderle ed era corso verso l’auto, aveva riposto il fardello nel portabagagli ed era partito alla volta di un posto tranquillo in campagna. Avrebbe bruciato tutto, l’accendino ce l’aveva e anche dei giornali per appiccare il fuoco, solo non sapeva dove andare. Dopo parecchio che vagabondava senza meta addentrandosi sempre più nella campagna trovò un boschetto perfetto per ciò che doveva fare, prese le borse e vi si addentrò; quando gli sembrò d’esse abbastanza al riparo poggiò le sacche a terra e vi diede fuoco con l’aiuto dei giornali. Nonostante la difficoltà a prendere fuoco quando si accesero arsero senza problemi e piuttosto in fretta, fortunatamente il suolo era umido e l’erba non prese fuoco limitando il falò alle sacche.

Quando non rimase che cenere Mattia voltò le spalle alle spoglie e se ne andò da dove era venuto, adesso che tutto era finito si sentiva meglio, non in pace ma meglio, una fetta di male aveva abbandonato il mondo e già solo per questo doveva sentirsi sollevato.

Forse il tempo avrebbe sistemato tutto, forse… non avrebbe dovuto far altro che aspettare e sperare.