Chi cerca trova

mercoledì 18 agosto 2010

pieces parte sesta



Ero già stata là poche ore prima: il fumo, il bancone del bar, il barista che dava la schiena agli avventori, i tavoli da biliardo nell’altra sala, la luce fioca, tutto quanto mi era famigliare; sapevo che se avessi attraversato la sala e mi fossi diretta al  biliardo nell’angolo più lontano avrei trovato la donna ad aspettarmi con una stecca in mano. Rimasi impalata sulla porta senza sapere cosa fare, volevo correre da lei ma allo stesso tempo c’era qualcosa che mi spingeva a non farlo. Come la prima volta mi diressi al bancone per prendere qualcosa da bere, non potevo starmene lì impalata e se fossi andata nell’altra sala in qualche modo sapevo che non mi sarei potuta fermare e  che mi sarei diretta dalla donna. Mi sedetti su uno di quegli sgabelli alti, che personalmente adoro, e mi appoggiai con i gomiti sul bancone aspettando che il barista si girasse; non dovetti aspettare molto per avere quegli occhi verde smeraldo puntati addosso, erano veramente luminosi e in contrasto con la pelle ramata.  Non li ricordavo così intensi, ma dopotutto era un sogno quindi le cose potevano alterarsi.
-Cosa prendi?
La sua voce si sposava perfettamente con il fisico: non era niente di straordinario, aveva però delle sfumature strane che spiccavano come facevano gli occhi, non saprei descrivere il timbro perché non sono mai stata brava a definire le caratteristiche vocali, anzi facevo proprio schifo.
Ero ancora persa nel verde quando mi accorsi di non aver ancora risposto:- Una  Guinness.
Si chinò a prendere la birra dal frigo, la stappò e me la porse, poi mi sorprese dicendo:- Non dovresti farla attendere, non mai opportuno far spazientire Elise e ultimamente è parecchio irritabile, fossi in te la raggiungerei immediatamente.
Quindi era così che si chiamava la donna, o almeno pensavo stesse parlando di lei, a costo di fare la figura dell’idiota mi costrinsi a chiedere chiarimenti:- Chi è quest’Elise?
Scoppiò a ridere, non capivo cosa aveva tanto da ridere, avevo forse fatto una battuta? Se era così non era stata mia intenzione e comunque io non l’avevo capita.
-Tavolo nell’angolo più lontano, quella è Elise e comunque dovresti già sapere chi è, non sapevo non sapessi ancora nulla. Ora vai, non stare qui impalata; non voglio dover fare i conti con un’Elise più incazzosa di quanto già non sia al naturale.
Dettò ciò mi volto le spalle e alzò il volume della musica non degnandomi più di uno sguardo, si prese una birra e si mise a parlare con un ragazzo in camicia nera semi nascosto nell’ombra all’altro capo del bancone.
Mi incamminai verso il punto dove avrei trovato la donna, Elise. Effettivamente mi stava aspettando nello stesso punto in cui l’avevo trovata l’altra volta.. Stavolta mi presi la briga di osservarla bene e mi accorsi che era veramente bella nonostante il viso fosse deturpato da un enorme cicatrice che andava dalla fronte al collo attraversando in diagonale tutto il viso, senza però rovinare la linea delle labbra. I lunghi capelli corvini le incorniciavano il viso scendendo in morbide onde sino alla vita, neanche un capello le ricadeva sul viso, non vi era niente a nascondere la perlacea cicatrice, l’occhio non sembrava recare danni dovuti alla ferita, però era latteo e doveva essere cieco. Il contrasto con l’altro era notevole: l’occhio sano era di un intenso color ebano, profondo e lucido, contornato da un bianco splendente; la pupilla affogava nell’iride scura. La pelle color avorio assumeva sfumature rosate giusto in corrispondenza delle guance e della cicatrice, le labbra sottili erano messe in risalto da un rossetto bordeaux che riprendeva la tonalità dell’ombretto e dei gioielli. Pantaloni di pelle nera, top bordeaux aderente come una seconda pelle e tacchi a spillo neri completavano l’insieme; decisamente non mi capacitavo di non esserne rimasta colpita la prima volta, non era certo il tipo da passare inosservato. Appena fui a pochi metri mi lanciò la sua stecca, feci appena in tempo a prenderla al volo prima che colpisse un avventore alla schiena, poi ne prese un'altra per sé e disse:- Parliamo mentre giochiamo- il tono non lasciava spazio a repliche, era un ordine, quindi aggiunse- La prossima volta non cincischiare quando arrivi, non ho tutto questo tempo da perdere. Dopo di che dispose le palle e diede inizio alla partita in silenzio; era brava, ma non era una professionista, bevvi un ultimo sorso e poggiai la bottiglia sul bordo del tavolo, poi inizia a giocare. Giocammo la prima partita in silenzio, completamente concentrate sul gioco, per lo meno io lo ero; vinsi. Non sembrava intenzionata a dare inizio ad una seconda partita quindi ripresi la birra e mi sedetti sul tavolo, dovevo sapere cosa voleva quella donna da me:- Di cosa devi parlarmi?
Sbatté le palpebre più volte, come se non si ricordasse chi ero e dove si trovava, infine disse:-Non ora, non di nuovo! Non c’è più tempo, parleremo la prossima volta! Devi andare!
La stanza si stava riempiendo di fumo come la volta precedente, non sarei rimasta a soffocare una seconda volta, mi misi a correre in direzione dell’entrata; il fumo sembrava seguirmi e avvolgermi, arrivata davanti al bancone non riuscivo più a vedere niente di definito, solo chiazze di colore semi nascoste dalla nebbia puzzolente. Intravidi la scala e mi precipitai in quella direzione, andai a sbattere più volte contro qualcosa, più mi avvicinavo all’uscita più il fumo si faceva denso e mi dava problemi a respirare. Mi sentii prendere per un gomito e tirare via da lì dentro.
Quando riaprii gli occhi mi trovai faccia a faccia con camicia nera.


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