Chi cerca trova

domenica 22 luglio 2012

non sto cazzeggiando

ci sto lavorando, vado a rilento e sto cambiando un po' di parti perchè non mi convincevano... a breve dovrei pubblicarne una nuova parte...

sabato 14 gennaio 2012

aspettando l'ispirazione per continuare pieces... metto un racconto moolto breve sperando che vi gusti :)

YUKI
La stanza era immersa nell’oscurità, solo un debole fascio di luce trapelava da sotto la porta chiusa a chiave. Il silenzio carico di paura e di tensione era spezzato solo dai gemiti di dolore di coloro che non riuscivano più a soffocare l’impulso di tacere. Tutti noi però sapevamo che chi cedeva e si lamentava era prossimo alla fine. Bastavano poche ore per giungere alla conclusione che solo i più forti e preparati potevano resistere per più di qualche giorno. Mi trovavo legato a quella sedia da più di due settimane, così come Yuki, la mia compagna di banco. Io e la giapponese eravamo quelli che avevano resistito più a lungo, nessuno era mai andato oltre i tre giorni, nessuno. In tutto quel tempo avevamo visto entrare e uscire dalla porta innumerevoli volti diversi, l’unica costante eravamo io, lei e naturalmente la nostra carceriera. Mi voltai verso Yuki cercando di vedere in che stato fosse, il buio mi permise solo di capire che era sveglia, con il volto rivolto verso di me e gli occhi aperti, nulla di più. Rimanemmo a fissarci per un po’, nessuno dei due avrebbe mai spezzato il silenzio attirando l’attenzione verso il nostro banco. Avevamo passato troppo tempo lì dentro per non sapere a cosa saremmo andati in contro se Lei fosse rientrata in classe per colpa nostra. Uno dei nuovi lanciò un urlo di dolore. Non sarebbe durato a lungo facendo così, aveva già una mano inutilizzabile e stava solo peggiorando la situazione lamentandosi. Un altro lamento straziante ruppe il silenzio. Il ticchettare dei tacchi della nostra aguzzina nel corridoio si fece sempre più forte e vicino. La porta fu spalancata e la luce inondò la stanza ferendo i miei occhi divenuti ipersensibili. Mi voltai verso Yuki. Anche lei stava cercando di non dare segni di sofferenza. A poco a poco le mie pupille si abituarono e misero a fuoco la minuta figura che era la causa di ogni nostro più piccolo dolore. Vestita completamente di cremisi dalla testa ai piedi appariva ancora più pallida e bella del solito. I capelli castani parevano risplendere tanto erano puliti e curati, le labbra erano messe in risalto da un rossetto appena più scuro dei vestiti e gli occhi grigi brillavano di una strana luce inquietante. Nella mano sinistra stringeva una sigaretta accesa e nella destra la sua speciale penna. Distolsi lo sguardo per paura che mi notasse e tornai a posarlo su Yuki. Vidi una lacrima brillarle sullo zigomo, provai ad alzare una mano per asciugargliela ma la catena attorno al polso mi ricordò immediatamente che non mi potevo muovere. La professoressa intanto aveva appoggiato la penna sulla cattedra e liberato il poveretto che con smetteva di gemere, lo aveva fatto alzare e lo aveva condotto alla lavagna. Capii immediatamente che per lo sfortunato era finita, il dolore lo accecava, non sarebbe riuscito a rispondere nemmeno se gli avesse chiesto come si chiamava o quanto faceva 2+2, figuriamoci risolvere un problema di geometria analitica. Federico così si chiamava, rimase zitto e fermo a fissare la lavagna senza realmente vederla fino a ché Lei non si spazientì. Fece l’ultimo tiro e gli spense il mozzicone sul braccio. Francesco prese a piangere ma non emise più nemmeno un lamento. Aveva finalmente capito il proprio errore. La professoressa afferrò la stilografica dalla cattedra, svitò il retro rivelando la piccola lama che nascondeva e la piantò nel collo del poveretto. Alcuni trattennero il respiro, altri piansero, qualcuno gemette, pochi gridarono, io e Yuki non battemmo ciglio, avevamo assistito alla scena già troppe volte. C’era un motivo se la classe non si affollava mai troppo. Eravamo soggetti rari noi che riuscivamo a sopravvivere a lungo. All’inizio anche Yuki ed io eravamo traumatizzati, nessuno può rimanere impassibile di fronte a tale violenza gratuita, a tanto sadismo; non abbiamo impiegato molto però a capire che pianti, lamenti e reazioni umane non avrebbero fatto che peggiorare la situazione. Ci eravamo uniti, cercando di infonderci forza l’un l’altra, solo così eravamo riusciti a superare tanti giorni. All’inizio quando Lei usciva e si sbatteva la porta alle spalle ci sussurravamo qualche frase per rincuorarci, con il passare dei giorni le frasi persero valore, trovammo conforto solo negli sguardi. Dopo due settimana mi bastava saperla ancora accanto a me per essere più tranquillo. Ero quasi sicuro di poter superare tutto insieme a Yuki.
Il tintinnare di una catena poco distante da me riportò la mia attenzione sulla professoressa. Luisa, la ragazza seduta davanti a me, stava raggiungendo la cattedra con passo fermo e sguardo fisso davanti a sé. Per un attimo pensai che avrebbe potuto resistere ancora a lungo, poi i miei occhi si posarono su quello che rimaneva della sua mano sinistra e sulle bruciature sul suo collo. La ammirai per la forza che emanava, sapeva di non avere più molto tempo eppure non proferì una parola, mai un lamento o un singhiozzo. Non si lasciò mai prendere dal panico, nemmeno quando la sigaretta le si avvicinò all’occhio, nemmeno quando la lama le baciò fredda e affilata le labbra, nemmeno quando le incise la gola. Non avevo ancora visto nessuno con un coraggio simile e nemmeno la professoressa a quanto pareva perché la sua mano incise solo superficialmente la pelle ancora perfetta della gola della ragazza. Solo un rivoletto di sangue le sgorgò dalla gola. Era la prima volta che vedevo qualcuno sopravvivere al bacio della lama sulla gola. Mi voltai di scatto, turbato, verso Yuki. Nei suoi occhi vidi il mio stesso stupore.
-Cris, Yuki! Alla lavagna, subito!
Sentii il sangue gelarmisi nelle vene e percepii che anche per Yuki fu così. Non aveva mai chiamato più persone contemporaneamente, mai. Non poteva significare nulla di buono. Ci venne a slegare. Prima Yuki e poi io. Tenni lo sguardo fisso sulla giapponese finché potei, sui suoi capelli corvini tagliati a caschetto, sul drago disegnato sul retro della sua t-shirt, sulle cuciture dei suoi attillatissimi jeans sdruciti, cercando di non pensare all’angoscia che mi stava nascendo dentro. Quando Yuki si voltò verso di me e scorsi le lacrime rigarle il viso cercai di infonderle con lo sguardo una forza e una sicurezza che non provavo minimamente. Sperai vivamente che anche i miei occhi non luccicassero come i suoi perché non potevamo permetterci debolezze. La voce della nostra carnefice mi strappò ancora una volta dai miei pensieri, mi costrinsi a distogliere lo sguardo da Yuki e a riportarlo sulla professoressa che aveva iniziato a spiegarci le regole di questo nuovo gioco. Due minuti, due quesiti a cui rispondere. Per ogni errore il nostro compagno ci avrebbe inflitto una punizione adeguata. Iniziò a dettare gli esercizi. Nel momento in cui li lessi seppi che entrambi li sapevamo risolvere. Osservai l’espressione sulla faccia di Yuki passare dal terrorizzato al determinato. Ricevuta la conferma dei miei pensieri presi anch’io un gessetto e mi applicai. Terminammo insieme. Pochi secondi prima della scadenza del tempo. Stessi passaggio stesso risultato. Tirai mentalmente un sospiro di sollievo.
-Pari… non ho mai apprezzato i pareggi. C’è da dire che tu, Cris, hai preso in mano il gessetto con qualche secondo di ritardo e quindi sei stato più veloce.
Ebbi un conato mentre pronunciava quelle parole. Avevo finalmente capito il senso di quel gioco. Avevo capito perché ci aveva chiamati insieme e sapevo che poteva esserci una sola soluzione. Gettai un unico sguardo a Yuki e lessi nei suoi occhi che anche lei aveva compreso. Quando vidi la lama lasciare la custodia ne ebbi la conferma, quello che non avevo afferrato era che sarei stato io a doverlo fare. Ero preparato al bacio della lama quando vidi la professoressa venirmi incontro ma non ero pronto a quello che mi disse.
-Devi farlo tu.
Poi mi mise la penna in mano e mi spinse verso Yuki. Sentii le lacrime sulle guance e rimasi paralizzato, convinto che mai e poi mai sarei riuscito a compiere il gesto che ero costretto a fare. Non riuscivo ad incrociare lo sguardo di Yuki, non potevo. Non dopo tutto quel tempo insieme, non potevo essere io. Sentii una mano prendermi sotto il mento e sollevarmi la testa. Chiusi gli occhi. Non potevo farcela.
-Non è colpa tua. Sapevamo che prima o poi sarebbe successo. Tu o Lei non fa differenza. Il risultato non cambia.
Riuscii finalmente ad aprire gli occhi e ad incrociare il suo sguardo. Vi lessi il perdono e qualcosa che mi terrorizzò ancora di più, il permesso. Era pronta a morire. Mi chinai verso di lei e le sussurrai all’orecchio:- Mi dispiace.
Poi mi costrinsi a poggiarle la lama contro la gola e a premere. Non distolsi mai lo sguardo dal suo.
Prima che qualcuno potesse fermarmi estrassi la lama sporca di sangue dal collo di Yuki e la appoggia sul mio. Diedi uno strattone deciso come avevo fatto con lei. Sentii il bacio freddo dell’acciaio e poi tutto divenne buio in poco tempo. Avrei raggiunto subito Yuki.