Riaprii lentamente gli occhi, incerta su cosa avrei visto. Il soffitto
color crema e la soffice consistenza del tessuto sotto le mie dita mi
tranquillizzarono immediatamente, ero tornata alla realtà e mi trovavo nel mio
letto. Mi misi prona e lascia correre lo sguardo per la stanza, nulla era
cambiato dal giorno prima. Bene. Qualcosa batté sul mio sterno, ancora mezzo
addormentata portai la mano a coprire il piccolo oggettino, sapevo già che
forma avrei stretto nel mio palmo. Probabilmente il fatto che la chiave fosse
riemersa dall’altra realtà insieme a me avrebbe dovuto terrorizzarmi, ma rimasi
calma, visti gli ultimi sviluppi probabilmente il mio subconscio si aspettava
già qualcosa del genere. Avrei fatto finta di nulla, avrei chiesto scusa alle
ragazze per il giorno prima e poi avrei cercato di capirci qualcosa da sola,
sarei andata in cerca del pub quel pomeriggio e se lo avessi trovato ci avrei
portato le ragazze quella sera stessa. Rotolai giù dal letto e indossai i miei
vestiti fortunati: una lunga canotta con disegnata sopra la morte con la falce
vestita da joker, un paio di logori shorts di jeans e un paio di sandali alla
schiava. Presi la mia borsa di tela vi scaraventai dentro portafogli, cellulare, chiavi, un Mars e una bottiglietta d’acqua;
afferrai il casco, lasciai un biglietto e uscii. Tentai di ricordare qualcosa che potesse farmi
capire l’ubicazione del locale. Dal suo aspetto malandato e dal vicolo buio
dedussi che se realmente esisteva non poteva che trovarsi nell’area del porto.
Avviai la moto e puntai dritta lì. Il tanfo del mercato del pesce permeava
l’aria e si univa alla puzza di sudore della gente. Mi addentrai nell’intrico
di vicoli, più camminavo e più diminuiva l’orribile fetore del porto e meno
erano i raggi di sole che filtravano tra un tetto e l’altro. L’atmosfera era sempre
più simile a quella del sogno, o quel che era, a parte il fatto che le altre
volte era sempre buio pesto. Cercai di seguire un percorso intelligente in modo
da non percorrere mai la stessa strada e non sprecare tempo. Mi affidai completamente all’istinto e dopo
qualche svolta lo trovai. Avevo quasi sperato di non trovarlo, di essermi
immaginata tutto, magari sotto l’effetto di qualche droga. Ma quella porta
aperta eliminava ogni mia speranza. Alla luce del giorno sembrava ancora più
scalcinato e cadente. L’insegna di legno era un po’ bruciacchiata e scheggiata.
Il nome del locale restava un mistero, la scritta era così sbiadita che a mala
pena si intravedeva. La voce di Brian Molko stava cantando Meds, mai canzone
sarebbe stata più azzeccata, riassumeva perfettamente come mi sentivo, beh
fatta eccezione per la parte sul sesso. Ormai ero lì, dovevo entrare, i Placebo
mi stavano comunicando che era la mia occasione di capirci qualcosa, forse. Il
pub era pressoché vuoto, cosa nient’affatto strana alle nove del mattino. Per
quello che potevo vedere c’erano solo due ragazzetti che pomiciavano di fronte
a due lattine di Coca e il barista, che decisamente non era Alec.
Peccato, occasione sfumata. Ormai ero dentro, tanto valeva seguire
l’esempio delle giovani leve e darsi alla caffeina. Una delle sostanze con
desinenza “ina” che il mio corpo reclamava a gran voce, l’altra si trovava
nella tasca sinistra dei miei jeans e richiedeva un accendino.
-Un caffè doppio- dissi tirando fuori il pacchetto di Camel.
-Nottataccia?
-Fai tu…- misi in bocca la sigaretta e presi in mano l’accendino, non
avevo visto cartelli che vietassero il fumo nel locale ma forse era meglio
informarsi prima di accendere- si può fumare qui dentro?
Ero stata così presa dalle follie che erano successe che non avevo sentito
il bisogno di fumare, in quel momento però il mio corpo mi stava ricordando che
ero dipendente da una certa sostanza, avrei preso decisamente male una risposta
negativa.
-Fai pure.
Finalmente. Il primo tiro dopo due lunghi giorni. Mi sembrava di
essere in paradiso. Sigarette e caffè di prima mattina, la giornata stava
decisamente migliorando.