Chi cerca trova

mercoledì 22 giugno 2011

pieces parte quattordicesima


Riaprii lentamente gli occhi, incerta su cosa avrei visto. Il soffitto color crema e la soffice consistenza del tessuto sotto le mie dita mi tranquillizzarono immediatamente, ero tornata alla realtà e mi trovavo nel mio letto. Mi misi prona e lascia correre lo sguardo per la stanza, nulla era cambiato dal giorno prima. Bene. Qualcosa batté sul mio sterno, ancora mezzo addormentata portai la mano a coprire il piccolo oggettino, sapevo già che forma avrei stretto nel mio palmo. Probabilmente il fatto che la chiave fosse riemersa dall’altra realtà insieme a me avrebbe dovuto terrorizzarmi, ma rimasi calma, visti gli ultimi sviluppi probabilmente il mio subconscio si aspettava già qualcosa del genere. Avrei fatto finta di nulla, avrei chiesto scusa alle ragazze per il giorno prima e poi avrei cercato di capirci qualcosa da sola, sarei andata in cerca del pub quel pomeriggio e se lo avessi trovato ci avrei portato le ragazze quella sera stessa.  Rotolai giù dal letto e indossai i miei vestiti fortunati: una lunga canotta con disegnata sopra la morte con la falce vestita da joker, un paio di logori shorts di jeans e un paio di sandali alla schiava. Presi la mia borsa di tela vi scaraventai dentro portafogli, cellulare,  chiavi, un Mars e una bottiglietta d’acqua; afferrai il casco, lasciai un biglietto e uscii.  Tentai di ricordare qualcosa che potesse farmi capire l’ubicazione del locale. Dal suo aspetto malandato e dal vicolo buio dedussi che se realmente esisteva non poteva che trovarsi nell’area del porto. Avviai la moto e puntai dritta lì. Il tanfo del mercato del pesce permeava l’aria e si univa alla puzza di sudore della gente. Mi addentrai nell’intrico di vicoli, più camminavo e più diminuiva l’orribile fetore del porto e meno erano i raggi di sole che filtravano tra un tetto e l’altro. L’atmosfera era sempre più simile a quella del sogno, o quel che era, a parte il fatto che le altre volte era sempre buio pesto. Cercai di seguire un percorso intelligente in modo da non percorrere mai la stessa strada e non sprecare tempo.  Mi affidai completamente all’istinto e dopo qualche svolta lo trovai. Avevo quasi sperato di non trovarlo, di essermi immaginata tutto, magari sotto l’effetto di qualche droga. Ma quella porta aperta eliminava ogni mia speranza. Alla luce del giorno sembrava ancora più scalcinato e cadente. L’insegna di legno era un po’ bruciacchiata e scheggiata. Il nome del locale restava un mistero, la scritta era così sbiadita che a mala pena si intravedeva. La voce di Brian Molko stava cantando Meds, mai canzone sarebbe stata più azzeccata, riassumeva perfettamente come mi sentivo, beh fatta eccezione per la parte sul sesso. Ormai ero lì, dovevo entrare, i Placebo mi stavano comunicando che era la mia occasione di capirci qualcosa, forse. Il pub era pressoché vuoto, cosa nient’affatto strana alle nove del mattino. Per quello che potevo vedere c’erano solo due ragazzetti che pomiciavano di fronte a due lattine di Coca e il barista, che decisamente non era Alec.
Peccato, occasione sfumata. Ormai ero dentro, tanto valeva seguire l’esempio delle giovani leve e darsi alla caffeina. Una delle sostanze con desinenza “ina” che il mio corpo reclamava a gran voce, l’altra si trovava nella tasca sinistra dei miei jeans e richiedeva un accendino.
-Un caffè doppio- dissi tirando fuori il pacchetto di Camel.
-Nottataccia?
-Fai tu…- misi in bocca la sigaretta e presi in mano l’accendino, non avevo visto cartelli che vietassero il fumo nel locale ma forse era meglio informarsi prima di accendere- si può fumare qui dentro?
Ero stata così presa dalle follie che erano successe che non avevo sentito il bisogno di fumare, in quel momento però il mio corpo mi stava ricordando che ero dipendente da una certa sostanza, avrei preso decisamente male una risposta negativa.
-Fai pure.
Finalmente. Il primo tiro dopo due lunghi giorni. Mi sembrava di essere in paradiso. Sigarette e caffè di prima mattina, la giornata stava decisamente migliorando.
-A costo di risultare banale, quella roba ti uccide i polmoni ed è anche uno spreco di soldi. 



domenica 19 giugno 2011

pieces parte tredicesima

. All’interno del cofanetto c’era un piccolo grumo di buio percorso da migliaia di finissime linee luminose, sembrava una piccola porzione del buio che mi aveva condotto al castello, con una differenza però. All’interno delle linee si susseguivano una serie di volti, di ambienti e di situazioni appartenenti a epoche diverse. Alcune immagini erano riconoscibili e riconducibili a epoche e vicende precise, altre mutavano così velocemente da essere irriconoscibili. Non riuscivo a staccare gli occhi dal grumo, continuando ad osservarlo mi accorsi che le linee blu erano le più statiche, quelle rosse e quelle gialle invece erano più mutevoli. Mi chiesi il perché.
-Le linee blu sono le linee del passato e cambiarne il corso è difficile perché si tratta di eventi già avvenuti, che sono già stati registrati e scritti negli annali della storia. Cambiando anche solo un piccolo dettaglio di un evento passato si può condizionare in modo irreversibile il futuro e quindi per la sicurezza di tutti il potere richiesto per effettuare un simile cambiamento deve essere enorme. Si possono contare sulla punte delle dita le persone che hanno o hanno avuto il potere di cambiare eventi trascorsi da più di qualche secondo. Le linee gialle indicano il presente e quelle rosse il futuro, essendo questi due tempi in continua evoluzione le immagini mutano più velocemente ed è più semplice intromettersi nel loro flusso.
Continuavo a non riuscire a staccare gli occhi dal contenuto del cofanetto, era più forte di me,  avevo però sentito le parole di Alec.
-Mi stai dicendo che questa è una piccola linea del tempo? E che può essere modificata?
-No…-riuscii finalmente a staccare gli occhi dalle linee e a posarli sul suo volto serio-  no, quella non è una linea del tempo, quella è una parte del tempo stesso. Essa e lo scrigno ti appartengono e fanno parte di ciò che sei.
Un enorme punto interrogativo mi si dipinse sul volto. Più pensavo a quello che aveva appena detto e più mi sembrava d’essere un personaggio dei fumetti: mi immaginavo già la striscia successiva in cui esprimevo i miei dubbi e Alec mi annunciava che ero stata predestinata a tutto questo e che la mia vita stava per cambiare, che sarei diventata una specie di Wonder Woman votata a proteggere il corso del tempo dai supercattivi. Non potei fare a meno di scoppiare a ridere. Un’incontrollabile risatina isterica, odiosa e acuta, intervallata da alcuni respiri brevi e tremanti.  Visto l’andamento del sogno non mi sembrava così irreale la possibilità che lo scenario da fumetto si realizzasse.
-Non vedo cosa ci sia di tanto divertente in tutto questo. Non mi sembra proprio il caso di perdere tempo in inutili risate quando potremmo impiegarlo in attività molto più utili.
Cercai di darmi un contegno per potergli rispondere.
-È tutto così assurdo, mi sembra di essere in un fumetto. Eppure una parte di me crede che tutto questo sia in qualche modo reale.
Alzai lentamente lo sguardo verso il suo viso e l’espressione corrucciata che vi lessi non mi tranquillizzò affatto, sembrava che non sapesse come replicare. Non poteva significare nulla di buono.
-Bene… Evidentemente non mi sono allontanata così tanto dalla verità.
Mi lasciai cadere di peso a terra e affanculo l’abito. Quel tizio mi stava dicendo che tutta quella stramba situazione era in un certo modo reale come erano reali le mie migliori amiche e che ero destinata a diventare una specie di eroina da fumetti. Cazzo. Dovevo essermi proprio bevuta il cervello se riuscivo a credere una cosa simile. Mi presi la testa fra le mani e cercai di riflettere, anche se non avevo la minima idea nemmeno di cosa stava accedendo, figuriamoci rifletterci sopra.
Sentii Alec chinarsi e sedersi accanto a me; non vi diedi peso, avevo prima bisogno di calmarmi. Cazzo. Stavo dando di matto anche per colpa sua, era lui che continuava a darmi notizie folli. Dopo qualche minuto, o almeno così mi parve, mi prese le mani, costringendomi ad alzare il volto e a prestargli attenzione.
-Aislinn, stammi a sentire. Il tempo che avevamo a disposizione questa volta sta per terminare, non ho avuto il tempo di spiegarti tutto come avrei dovuto e voluto, per ora ciò che sai dovrà bastare.
Mentre parlava vidi l’ormai famigliare fumo formarsi attorno a noi, strinsi più forte il cofanetto, sentii la chiave premere contro l’addome, piccolo, dura e fredda.
-Non potrai portare con te il cofanetto e nemmeno il tempo, non ancora per lo meno, ma la chiave deve rimanere sempre con te, non perderla mai e poi mai, non devi separartene per nessun motivo.
Mi costrinse a mollare il cofanetto in modo che potesse riprendere la chiave e chiuderlo, poi mi riallacciò la catenina. Il fumo continuava ad addensarsi attorno a noi, ma a differenza delle altre volte mi parve meno intossicante, non potei però evitare di tossire. Prima di venir assorbita dalla nube e di perdere ogni contatto con Alec lo sentii dire:-Non temere, ci rivedremo presto.
Non feci però in tempo ad urlagli dietro che temevo più il nostro prossimo incontro che il fumo, ad ogni incontro mi pareva di perdere una parte della mia integrità mentale, una parte della me stessa razionale e terrena. Questo mi spaventava più di ogni altra cosa.