Chi cerca trova

venerdì 29 aprile 2011

pieces parte undicesima


Elise indossava un abito lungo fino ai piedi di un blu notte così scuro da sembrare quasi nero, la foggia richiamava le tuniche delle divinità greche e le conferiva un aspetto regale ed etereo che contrastava fortemente con le sue parole e la sua posa.
-Alec vai a prendere lo scrigno! E vedi di fare in fretta, abbiamo già impiegato sin troppo tempo! E tu ragazza avvicinati! Non mordo mica!
Su quell’ultima affermazione nutrivo forti dubbi tuttavia mi sembrava più rischioso disubbidire a quelli che avevano tutto l’aria d’esser ordini che farmi più vicina e rischiare un morso. Inoltre quella sequela di comandi sbraitati mi aveva fornito l’occasione per dare un nome al barista.
-Ragazzina ci sono molte cose sul tempo che ancora devi apprendere e non ne hai molto a disposizione quindi ti conviene tenere le orecchie bene aperte e prestare molta attenzione a tutto ciò che ti viene detto, anche ai più insignificanti dettagli.
Mentre diceva questo Elise si era alzata dal trono e mi era venuta incontro, in quel momento si trovava di fronte a me e mi stava scrutando negli occhi come se fosse capace di leggermi nell’anima. Rimasi immobile ad ascoltarla, attendendo che continuasse quel suo discorso che suonava alle mie orecchie completamente privo di senso. Questo sogno si stava facendo sempre più strano e al contempo i contorni sfumati della dimensione dei sogni si stavano facendo sempre più nitidi e simili a quelli della realtà, tanto che non riuscivo quasi più ad accettare che tutto quello che mi stava accadendo fosse solamente frutto del mio subconscio.
-Devi sapere Aislinn che il tempo non è uniforme e può essere modificato a nostro piacimento, fortunatamente sono pochi coloro che hanno le conoscenze necessarie per tentare e ancora meno coloro che hanno la facoltà di alterare il suo corso. Quei rari individui che ne hanno il potere possono rivelarsi assai pericolosi per l’incolumità di ogni individuo, non solo per loro stessi. Queste persone hanno la capacità di attraversare il corso del tempo attraverso i sogni e di modificare la realtà futura, presente e passata a loro piacimento. Da secoli ormai vi sono persone votate a proteggere tutti noi da questi soggetti e il più delle volte la sola presenza di tale organizzazione riesce a scoraggiare anche i più bravi e determinati rivisitatori; raramente si verificano imprevisti e si ha la necessità di arruolare nuove reclute per servire la nostra causa. Queste reclute sono estremamente difficili da rintracciare poiché devono possedere rare ed innate capacità cognitive, non in tutte le generazioni si presentano persone adatte ad essere reclutate.
Nemmeno dopo le peggiori sbornie avevo fatto sogni simili, figuriamoci da sobria! Il mio subconscio doveva essere andato letteralmente in tilt per aver inventato una tale sfilza di cagate una dietro l’altra. Viaggi nel tempo, società segrete, reclute e criminali che viaggiano nel tempo e nello spazio; un sogno del genere non poteva che essere la premonizione di una precoce malattia mentale. Non appena mi fossi svegliata avrei dovuto correre a farmi fare un check up completo, prevenire è sempre meglio che curare.
-Aislinn tu non sei mentalmente disturbata e questo non è un semplice sogno, tutto ciò che ti ho detto è reale e anche quello che accade qui in qualche modo fa parte della realtà in cui vivi. So che può essere difficile da accettare ma dovrai imparare a conviverci.
Aggiungiamo pure la lettura nel pensiero alla serie di cazzate che il mio cervello stava inventando, il ricovero in una clinica psichiatrica non me lo avrebbe potuto togliere nessuno, anche perché una piccola e remota parte di me aveva già iniziato a credere a ogni parola proferita da Elise.  Stavo per sbottare con qualche risposta sarcastica quando Alec tornò tenendo tra le mani un piccolo scrigno di madre perla dall’aspetto fragilissimo. Grosso pressappoco come un comune dizionario, il portagioie luccicava alla luce delle torce mandando riflessi azzurrognoli tutt’attorno, ma ancora più spettacolare del bauletto in sé era la serratura.  Di rame splendente era completamente incisa, non vi era un solo spazio non lavorato; il finissimo ricamo ritraeva l’alternarsi delle stagioni e lo scorrere del tempo, ad ogni stagione era assegnata un’età, erano poste in ordine a partire dalla primavera che era rappresentata da un fanciullo che giocava seduto nel bel mezzo di un campo fiorito e terminavano con l’inverno. La stagione più fredda e tetra era raffigurata come un individuo anziano, dal corpo scheletrico e provato dagli anni, incapace ormai di esprimere a gesti la vitalità di cui è ancora colmo; tale forza spirituale è rappresentata da un giovinetto che si allontana correndo dal cuore dell’uomo. Un’immagine assai triste e malinconica ma molto espressiva ed efficace. Il barista mi si avvicinò lentamente, prestando notevole attenzione ad ogni movimento onde evitare di far cadere o di danneggiare in qualsiasi modo lo stupefacente oggetto racchiuso nelle sue mani. Dovevo essere rimasta a fissare a bocca aperta lo scrigno perché non appena mi fu vicino mi sussurrò all’orecchio:-Chiudi la bocca o ti entrerà una mosca.
Malgrado mi sentissi una completa idiota non potei fare a meno di sorridere mentre ricomponevo l’espressione del mio viso.
-A cosa serve lo scrigno?- chiesi non potendo mettere freno alla curiosità.
-Contiene qualcosa che potrebbe esserti di enorme aiuto in questa tua missione- rispose Alec.
Elise intanto si era nuovamente accomodata sul trono e stava osservando spazientita la scena.
-Questo però non è il luogo adatto per aprirlo, seguimi e ti condurrò in un posto più appropriato.
E fu così che spinta dalla pura curiosità accettai la mano che Alec, un uomo del quale non sapevo nulla, che non ero nemmeno sicura esistesse realmente, mi stava tendendo; non ero però consapevole di quello che sarebbe accaduto alla mia vita accettando che mi conducesse fuori da quella sala per aprire lo scrigno.

mercoledì 27 aprile 2011

pieces parte decima


E con un imperdonabile ritardo pubblico un nuovo pezzo di racconto, spero di riuscire a pubblicare a breve il proseguo :)!!


Le lastre di pietra della pavimentazione erano irregolari e consunte dall’uso, come se il corridoio fosse stato percorso da centinaia di migliaia di piedi per anni, in alcuni punti erano talmente consumate che rischiai di inciampare, rimasi in equilibrio solo grazie a quelle mani che continuavano a strattonarmi e a spronarmi ad aumentare l’andatura.  Occhi di gatto camminava con passo tanto sicuro da indurmi a pensare che percorresse abitualmente quel corridoio o che, a differenza di me, godesse della vista agli infrarossi. Il sotterraneo serpeggiava nel terreno, una serie di curve a destra si alternava ad una a sinistra, in alcuni punti avevo l’impressione che il terreno fosse in leggera salita ma poi subito dopo pareva pendere nella direzione opposta. Non riuscivo più a capire in che direzione ci stessimo muovendo e di quanto ci fossimo già allontanati dalla sala precedente. Dopo l’ennesima serie di svolte a destra il corridoio si interrompeva bruscamente con una svolta a sinistra: la strada era sbarrata da una pesante e massiccia porta in legno. Il barista armeggiò un poco con la serratura prima di farla scattare e di poter spalancare la porta. Il debole chiarore delle torce poste dall’altro lato dell’apertura rischiarò un poco il corridoio permettendo anche a me di vedere con chiarezza dove mi trovavo. Avrei forse preferito rimanerne allo scuro: mi sembrava d’essere appena finita in uno di quei film dell’orrore di serie Z ambientati nelle fatiscenti segrete di un castello medievale. Afferrata una delle torce dalla parete tornò a strattonarmi per un braccio per i corridoi di quello che ormai avevo capito essere uno strano castello. Pochi metri al di là della porta partiva una ripida e lunga scalinata che si concludeva anch’essa con un’imponente porta chiusa. Varcato anche quest’ultimo ostacolo ci ritrovammo in una gigantesca sala del trono, o almeno questa è l’unica definizione che mi sembra posso addirsi ad un tale ambiente. Dal soffitto pendevano tre immensi lampadari di cristallo dove erano poste decine di candele che illuminavano la stanza facendola risplendere a giorno. Sulle due pareti più lunghe si aprivano una serie di finestre oscurate completamente da pesanti tende di broccato rosso. Le assi di legno del pavimento erano disposte in modo da formare spettacolari disegni bicolori; sulla parete di fronte a noi si trovava quello che sembrava essere un vero e proprio trono. La grande poltrona in legno intarsiato era ricoperta da morbidi cuscini dello stesso broccato scarlatto dei tendaggi ed era occupata dalla piccola figura di Elise. La donna sedeva scomposta sulla sedia: le gambe poggiate su di un bracciolo, i piedi a penzoloni, un gomito poggiato all’altro bracciolo e la testa abbandonata mollemente sul palmo della mano come se si stesse annoiando a morte o fosse sfinita dopo una giornata di intenso lavoro. Alla nostra vista la donna cercò di darsi un certo contegno tornando a sedersi composta, sollevata dal potersi finalmente mettere all’opera. Non appena le fummo accanto ci apostrofò con un:- Potevate prendervela con più calma! Come se avessimo tutto questo tempo da sprecare!
Rimasi sorpresa dalle sue parole, non che sapessi cosa aspettarmi, ma di certo non credevo mi attendesse un’accoglienza così scorbutica.