Chi cerca trova

sabato 24 luglio 2010

pieces parte terza

Di ritorno da un primo assaggio di vacanze, mi rimetto all'opera e continuo ciò che ho lasciato a metà... buona lettura...



Ero immersa nella nebbia e i miei piedi non toccavano terra, stava volando senza sapere dove stessi andando, di tanto intanto muovevo le braccia e le gambe cercando di prendere quota ed uscire dal banco per poter vedere dove mi trovavo, ma con scarsi risultati. Poi, di colpo, la foschia si diradò e mi trovai nel bel mezzo di una strada semi buia, ad un centinaio di metri si trovava un lampione e sotto di esso stava una donna; nonostante la distanza mi sembrava che la sua figura avesse qualcosa di familiare ma allo stesso tempo di distante e irriconoscibile. Più mi avvicinavo e più la luce si faceva debole, rossastra e tremolante, come se il la lampadina stesse lasciando a poco a poco il posto ad una torcia; staccai lo sguardo dalla figura e lo feci scorrere sul paesaggio, l’asfalto stava lasciando il posto a larghe e piatte pietre e ai bordi delle strade la campagna si stava trasformando in bosco. Sembrava di tornare indietro nel tempo, di vedere la tecnologia regredire.
La donna continuava a rimanere ferma ma ad ogni passo riuscivo a scorgere qualche particolare in più: portava un abito lungo che la fasciava fino ai piedi evidenziandone il fisico asciutto e longilineo,  il colore scuro risultava cupo sotto la tremolante illuminazione ed risaltava l’estremo pallore della carnagione, già enfatizzato dai capelli scuri. Del volto si potevano intravedere solo i lineamenti del profilo poiché la posizione e le ombre rendevano invisibile il resto.
La curiosità di vedere il suo viso mi spingeva a mettere tutta l’energia nei movimenti di braccia e gambe, ma nonostante gli sforzi non riuscivo ad avvicinarmi quanto avrei voluto, era come se una barriera mi separasse da quella misteriosa figura femminile. C’era qualcosa che mi attirava e allo stesso tempo mi respingeva, ormai mi ero rassegnata a osservarla da lontano quando si voltò. Mosse le labbra e poi con un gesto della mano disegnò un’ampia spirale nell’aria e l’attraversò scomparendo alla mia vista.
Tentai di seguirla attraverso quel disegno, non nutrivo molte speranze dato che sembrava esserci un muro tra di noi, invece riuscii a passare dall’altra parte di quel portale, o di qualunque cosa si trattasse.
All’improvviso tutto divenne buio e silenzio, non c’era niente di niente, sembrava il Nulla della Storia infinita; durò solo un istante e poi mi ritrovai in un affollato locale chiassoso. Della donna misteriosa nemmeno l’ombra, era come scomparsa; il locale sembrava un normale pub, di quelli che si trovano in ogni cittadina: musica assordante, fiumi di birra e in una saletta che si intravedeva appena i tavoli da bigliardo.
Per abitudine, o forse per non sembrare un pesce fuor d’acqua, anche se nessuno sembrava far caso a me, mi avvicinai al bancone e ordinai una birra senza nemmeno alzare gli occhi sul barista che mi dava le spalle.
Questi sì chinò e tirò fuori dal frigo una birra, la stappo e si girò per porgermela, alzai lo sguardo; i nostri occhi si incontrarono. Due occhi verdi incastonati in un viso abbronzato stavano fissi nei miei; presi la birra e distolsi lo sguardo per dare un’occhiata a com’era il resto del proprietario.
Capelli castano scuro né corti né lunghi, pelle abbronzata, statura nella norma, zigomi alti e labbra carnose, fisico atletico ma non troppo palestrato, jeans e maglietta.  Attraente ma nella norma, mi voltai e mi diressi ai tavoli da bigliardo sorseggiando la mia birra. Erano tutti occupati, tranne uno, quello nell’angolo più lontano, c’era una persona con la stecca in mano ma non stava giocando. Presi una stecca dal muro e mi ci diressi, ero a pochi passi quando la persona si voltò.
-Ti stavo aspettando.
Era lei, era la donna, solo che ora indossava vestiti moderni.

venerdì 2 luglio 2010

pieces parte seconda

spero sia di vostro gradimento e che mi scuserete se di qui a metà luglio non riuscirò ad aggiornare il racconto poichè, molto probabilmente, mi assenterò per un po' causa vita...
sono sicura di dimenticarmi qualcosa ma boh...
ah sì, questa è ancora sempre una bozza e quindi soggetta a cambiamenti e correzioni..=)

Mentre mi godevo la scena seduta sul balcone mi venne voglia di viverla sulla mia pelle, di stare in mezzo a quel boschetto tentando di scorgere le stelle e il mare attraverso i rami degli alberi; detto fatto, una manciata di minuti dopo stavamo camminando nel cortile buio armate di cellulari e torce, il minimo indispensabile per squarciare l’oscurità notturna e poterci separare senza problemi.
Il terreno era abbastanza irregolare, fatta eccezione per la porzione più prossima alla villetta, le grosse radici sbucavano fuori dal terreno e sassi più o meno grossi contribuivano ad aumentare le probabilità di cadute, a parte ciò era tutto fantastico. I fasci di luce illuminavano bene il nostro cammino, senza però denaturalizzare il paesaggio selvatico; ci fermammo più volte ad ammirare il cielo stellato e a scrutare le piante in cerca di olive mature da accompagnare ai drinks, ma nada, per i piccoli frutti neri era ancora troppo presto. Dopo un po’ le torce illuminarono qualcosa di grosso, immobile e seminascosto da un tronco, probabilmente era solamente un enorme masso ma…
A mano a mano che ci avvicinavamo la cosa prendeva forma sotto i  nostri occhi, il fatto è che la luce delle torce non ci permetteva di capire con chiarezza di che si trattasse; continuammo ad avanzare fino a trovarci ad un passo dall’enorme ammasso di legno marcio e tessuto. Altro non era se non un vecchio baule dimenticato che in passato doveva essere stato coperto da un telo, il passare del tempo  non era però stato clemente con esso: il legno era quasi completamente marcio, eccezion fatta per una delle pareti che era ancora ricoperta di vernice mogano. Il lucchetto che teneva chiusa la cassa era anch’esso preda degli agenti atmosferici ed era ricoperto di ruggine, il metallo con cui era fatto sembrava essersi indebolito.
Non so cosa mi prese però la curiosità fu più forte della ragione e trovata una pietra li vicino la lanciai sul lucchetto, naturalmente non diede segni di cedimento, in compenso il coperchio si ruppe proprio in corrispondenza della serratura e potemmo così sbirciare al suo interno.
Abiti d’epoca e fotografie, niente di più niente di meno fu quello che vi trovammo all’interno; secondo Stefy dovevano risalire agli inizi del secolo scorso, forse erano più recenti, di certo erano splendidi e per qualche strano miracolo si erano conservati in buone condizioni, lo stesso si poteva dire delle fotografie, erano ingiallite ma nulla più.
Il baule pesava troppo perché potessimo trasportarlo senza svuotarlo quindi io e Pam tornammo alla villetta per prendere le nostre valigie e riempirle con tutto quel ben di dio, fu così che lasciammo una radiosa Stefy a sgattare nel vintage.
Non ci mettemmo molto a prendere le valigie e a tornare sul posto, molto più impegnativa e duratura fu la catalogazione di ciò che inserivamo nei bagagli, non volevamo perdere nulla né tantomeno danneggiare il tutto; il trasporto dello scrigno fu rimandato al giorno seguente, in quel momento ci accontentavamo di portare in salvo ciò che era entrato in valigia e di esaminare le fotografie e gli abiti sotto una luce più potente nella speranza di risalire al periodo.
Passammo ore con la musica accesa ad ammirare le immagini di quelle persone così diverse da noi eppure così simili e distanti anni luce dal nostro mondo, le loro espressioni serene e rilassate, ignari di quello che sarebbe successo di lì a qualche anno, le Grandi Guerre.
Ci addormentammo così, sedute sulle poltrone con le foto o gli abiti in grembo come se li cullassimo nella speranza che ci seguissero nei sogni e non svanissero nella notte.