Chi cerca trova

mercoledì 27 aprile 2011

pieces parte decima


E con un imperdonabile ritardo pubblico un nuovo pezzo di racconto, spero di riuscire a pubblicare a breve il proseguo :)!!


Le lastre di pietra della pavimentazione erano irregolari e consunte dall’uso, come se il corridoio fosse stato percorso da centinaia di migliaia di piedi per anni, in alcuni punti erano talmente consumate che rischiai di inciampare, rimasi in equilibrio solo grazie a quelle mani che continuavano a strattonarmi e a spronarmi ad aumentare l’andatura.  Occhi di gatto camminava con passo tanto sicuro da indurmi a pensare che percorresse abitualmente quel corridoio o che, a differenza di me, godesse della vista agli infrarossi. Il sotterraneo serpeggiava nel terreno, una serie di curve a destra si alternava ad una a sinistra, in alcuni punti avevo l’impressione che il terreno fosse in leggera salita ma poi subito dopo pareva pendere nella direzione opposta. Non riuscivo più a capire in che direzione ci stessimo muovendo e di quanto ci fossimo già allontanati dalla sala precedente. Dopo l’ennesima serie di svolte a destra il corridoio si interrompeva bruscamente con una svolta a sinistra: la strada era sbarrata da una pesante e massiccia porta in legno. Il barista armeggiò un poco con la serratura prima di farla scattare e di poter spalancare la porta. Il debole chiarore delle torce poste dall’altro lato dell’apertura rischiarò un poco il corridoio permettendo anche a me di vedere con chiarezza dove mi trovavo. Avrei forse preferito rimanerne allo scuro: mi sembrava d’essere appena finita in uno di quei film dell’orrore di serie Z ambientati nelle fatiscenti segrete di un castello medievale. Afferrata una delle torce dalla parete tornò a strattonarmi per un braccio per i corridoi di quello che ormai avevo capito essere uno strano castello. Pochi metri al di là della porta partiva una ripida e lunga scalinata che si concludeva anch’essa con un’imponente porta chiusa. Varcato anche quest’ultimo ostacolo ci ritrovammo in una gigantesca sala del trono, o almeno questa è l’unica definizione che mi sembra posso addirsi ad un tale ambiente. Dal soffitto pendevano tre immensi lampadari di cristallo dove erano poste decine di candele che illuminavano la stanza facendola risplendere a giorno. Sulle due pareti più lunghe si aprivano una serie di finestre oscurate completamente da pesanti tende di broccato rosso. Le assi di legno del pavimento erano disposte in modo da formare spettacolari disegni bicolori; sulla parete di fronte a noi si trovava quello che sembrava essere un vero e proprio trono. La grande poltrona in legno intarsiato era ricoperta da morbidi cuscini dello stesso broccato scarlatto dei tendaggi ed era occupata dalla piccola figura di Elise. La donna sedeva scomposta sulla sedia: le gambe poggiate su di un bracciolo, i piedi a penzoloni, un gomito poggiato all’altro bracciolo e la testa abbandonata mollemente sul palmo della mano come se si stesse annoiando a morte o fosse sfinita dopo una giornata di intenso lavoro. Alla nostra vista la donna cercò di darsi un certo contegno tornando a sedersi composta, sollevata dal potersi finalmente mettere all’opera. Non appena le fummo accanto ci apostrofò con un:- Potevate prendervela con più calma! Come se avessimo tutto questo tempo da sprecare!
Rimasi sorpresa dalle sue parole, non che sapessi cosa aspettarmi, ma di certo non credevo mi attendesse un’accoglienza così scorbutica.

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